Un dono del Nilo
Aggiornamento: 12 set 2021
Nel V secolo a.C. Erodoto, uno scrittore greco di Alicarnasso, definito oggi “il padre della storia”, passò circa quattro mesi nel territorio egiziano e lo perlustrò da cima a fondo. Riportò poi la sua esperienza nelle sue Storie e la sua testimonianza è ancora oggi una delle più importanti fonti per gli studiosi e per la conoscenza della storia dell’antico Egitto. A chiunque voglia saperne di più di antico Egitto, i miei primi due consigli sono la lettura di Erodoto e un bel viaggio sulle sponde del Nilo. Perché bisogna vederlo con i propri occhi l’Egitto, proprio come fece Erodoto, per poter soltanto provare a immedesimarsi e a comprendere l’antico egiziano. E fu sempre Erodoto a coniare una delle più riuscite e più note definizioni dell’Egitto. All’inizio del secondo libro della sua opera, scrive:
«Solo a vederlo, a un uomo che abbia un po’ di giudizio, è evidente che l’Egitto […] è per gli Egiziani una terra d’acquisto e un dono del fiume».
Erodoto, dunque, fu il primo a rendersi conto che la civiltà egizia doveva la sua esistenza, la sua ricchezza e la sua longevità proprio a quel bizzarro fiume che con la sua piena annuale garantiva la fertilità nel contesto più arido della terra, il deserto del Sahara. E fu il Nilo a caratterizzare la cultura e la mentalità egizia, come uno scheletro al di sotto della pelle degli egiziani. Era il fiume nella sua potenza esondante a definire i confini stessi dell’Egitto. Laddove non arrivava l’acqua del Nilo era desheret, il deserto, un luogo che gli egizi avevano posto al margine del loro territorio.
Il Nilo è uno dei fiumi più lunghi della terra, ma ai tempi di Erodoto questo era un dato ancora ignoto. Così come poco si sapeva sulle sue origini e sulle forze che scatenavano l’inondazione (Akhet). Quello che interessava agli Egizi era il ripetersi immutato del ciclo annuale che avrebbe loro garantito la concimazione naturale della valle e la successiva raccolta delle messi. In pieno luglio, infatti, una massa d’acqua entrava impetuosa in Egitto dalle porte di Assuan, dopo aver travolto argini, terra e vegetazione e dopo aver incontrato ben sei sbarramenti di roccia. Il Nilo, carico di detriti e fango, proseguiva la sua corsa lungo la stretta valle e invadeva i campi verdi sulle due sponde fino al margine dei deserti occidentale e orientale. Infine giungeva nel Delta, dove si schiudeva come un ventaglio in rami e ramoscelli per unirsi al mar Mediterraneo, chiamato dagli Egizi “Grande Verde” (wadj-ur). Il fiume «arriva da solo ad irrigare i campi», diceva Erodoto, per poi ritrarsi, lasciando ai contadini solo l’onere della semina e l’attesa del tempo della raccolta. Un’immagine idilliaca dell’agricoltore, quasi fosse per i fortunati abitanti d’Egitto il lavoro più semplice del mondo. In realtà le cose non stavano proprio così. L’acqua andava domata e canalizzata in modo che irrigasse più terreno possibile. L’acqua del fiume, del resto, era l’unica arma in possesso degli Egizi nella loro quotidiana lotta contro l’avanzata del deserto. E quando l’impeto del fiume era più flebile, questo corrispondeva per gli Egizi a un anno scarso, di impoverimento se non di carestia. I primi a pagare per questa sfortunata evenienza erano proprio i contadini che, come spesso accadeva anche altrove, si ritrovavano a pagare tasse esose pur di fronte a raccolti esigui, immiseriti e schiacciati semplicemente perché il fato aveva deciso così.
Ed ecco che il fiume carico e straripante si trasformava in un dio. Il suo nome era Hapi, una divinità facilmente riconoscibile per le sue forme androgine e piene e per il colore verdastro o bluastro. Erano tutti simboli di fertilità, la rotondità della figura, l’incarnazione di elementi maschili e femminili in uno stesso corpo, il colore dell’acqua che travolgeva e trascinava con sé fango e vegetazione. Inoltre, nel caso non fosse stato abbastanza chiaro, la sua rappresentazione includeva fiori di loto per l’Alto Egitto e papiri per il Basso Egitto che ne infioravano il copricapo. Hapi infatti veniva anche ritratto in un duplice aspetto, due figure complementari che intrecciavano gli steli delle rispettive piante simboliche. In questo modo si rappresentava il fiume quale elemento di congiunzione delle Due Terre, cioè del Delta e della Valle, il che voleva dire che si omaggiava ancora una volta il Nilo, poiché senza di esso, come dice chiaramente Erodoto, non sarebbe esistito l’Egitto, tantomeno un Egitto unito.
Un inno al dio risalente alla XIX dinastia (1300-1200 a.C. circa) recita:
«Omaggio a te, o Hapi che appari su questa terra, e giungi in pace per far sì che l’Egitto viva».
Il fiume era tutto. Era l’acqua per fertilizzare i campi, era il fango per l’edificazione delle dimore e la fabbricazione di vasellame, era la strada maestra che consentiva di muoversi agevolmente, anche con un’imbarcazione di papiro, da sud a nord. Era l’Egitto stesso, il cui nome per gli Egizi era Kemet, la Terra nera, la striscia di terra irrorata dall’acqua e fertilizzata dal limo. L’Egitto era davvero “un dono del Nilo” e aveva forgiato le menti dei suoi abitanti. Una evidenza di questo rapporto simbiotico tra il fiume e gli Egizi balza agli occhi semplicemente osservando la mappa dell’Antico Egitto. Quello che noi posizioneremmo a Nord, per gli Egizi era invece a Sud. Quello che gli Egizi definivano “Alto Egitto” era di fatto l’Egitto meridionale, viceversa il “Basso Egitto” corrispondeva per loro all’area del Delta. Perché? Per il semplice fatto che il fiume correva da Sud a Nord, come dire “scendeva a mare”, di conseguenza il percorso mentale di un Egizio era invertito rispetto ai punti cardinali. Se il fiume “scendeva” verso il Mediterraneo, il triangolo di terra bagnato dal Mediterraneo doveva essere il Basso Egitto. Il confine alto era invece l’odierna Assuan (Siene per i Greci), in corrispondenza dell’isola di Elefantina (Abu) e della prima cateratta del Nilo. Si credeva, infatti, che proprio lì, tra Egitto e Nubia, dimorasse il dio Hapi, pronto a riversare i suoi vasi d’acqua sui campi creati da Ra per dar gioia e abbondanza ai suoi abitanti.
Ed ecco, infine, il mio terzo consiglio: girate la mappa dell'Egitto al contrario e vi sentirete molto più vicini alla mentalità di un antico egiziano.
Riferimenti bibliografici
Erodoto, Storie, Libro secondo.
Mario Tosi, Dizionario Enciclopedico delle Divinità dell'Antico Egitto, vol. 1, Ananke, Torino 2004.
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